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L'APPROCCIO PSICOCORPOREO

Come nasce la psicoterapia corporea?

 

La psicoterapia corporea ha una storia molto antica. Già Freud aveva compreso lo strettissimo legame che esiste tra i sentimenti e le emozioni e il corpo, quindi tra la psiche e il corpo.

Ma il padre della psicoterapia corporea è Wilhelm Reich, allievo di Freud. Reich, anche lui convinto dello stretto legame tra emozioni e corpo, partendo dalle intuizioni di Freud, elabora il suo modello teorico dal quale poi discende il suo modello di psicoterapia che è la Vegetoterapia Caratteroanalitica, un nome difficile, che tradotto in parole povere è la psicoterapia corporea, costituita da una parte di terapia verbale per lavorare su atteggiamenti, comportamenti e modi di pensare associata a una parte di lavoro che coinvolge il corpo.

 

Ma a cosa servono questi movimenti corporei? Perché si fanno?


Per comprendere la loro validità ed efficacia, dobbiamo partire da un presupposto: la psiche e il corpo non sono due entità separate che non si parlano tra loro, ma sono strettamente interconnessi e costituiscono la nostra unità. Noi siamo composti di “elementi” che si trovano in una strettissima relazione tra di loro. E questa scoperta si deve a Reich, che ha così ricomposto una scissione antica di centinaia di anni. Quindi, essendo collegati, ciò che succede a livello emozionale si ripercuote anche a livello corporeo e viceversa.
 

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Facciamo alcuni esempi per rendere più chiari questi concetti che sembrano lontani da noi ma che invece sperimentiamo tutti i giorni senza rendercene conto. 

 

A tutti è capitato di commuoverci guardando un film: la commozione sale da dentro, arriva agli occhi e si manifesta attraverso le lacrime. Ma fate caso a cosa facciamo per cercare di non piangere. Iniziamo a deglutire e se non dovesse bastare contraiamo i muscoli della gola e del torace, il diaframma e in pochi secondi la commozione ritorna da dove era venuta, tirandosi dietro anche le lacrime. Fate attenzione a questa parola che sto utilizzando: contrarre i muscoli. La riprenderemo tra poco.

 

Facciamo un altro esempio: cosa facciamo quando ci assale la rabbia? Quale parte del corpo maggiormente utilizziamo per controllarla e non esprimerla? La bocca! Tutta la muscolatura della bocca e i masseteri vengono contratti e si stringono i denti. Così la rabbia può evitare di uscire. E anche qui, di nuovo, avviene una contrazione.

 

Da questi esempi, riusciamo facilmente a comprendere che per controllare una emozione abbiamo utilizzato il nostro corpo. E in questi, come in altri casi, abbiamo utilizzato il corpo per difenderci da una emozione e dalla possibilità di esprimerla.

 

Ancora un esempio. E quando invece ci sentiamo pieni di gioia e vitalità, cosa ci andrebbe di fare? Di saltare, saltellare, di aprire la bocca, spalancare gli occhi, sorridere, aprire le braccia, il torace e le gambe, ecc. L’espressione della gioia porta con sé queste ed altre manifestazioni corporee.

 

Quindi, possiamo dedurre quello che intuì Reich: che a fronte di emozioni spiacevoli il nostro corpo si contrae e si ritira, a fronte di emozioni piacevoli il nostro corpo si espande e si apre. Nel momento in cui riusciamo a mantenere una sana alternanza tra momenti di contrazione e chiusura e momenti di espansione e apertura, riusciamo a mantenere un buon equilibrio psicofisico e la nostra pulsazione vitale. La pulsazione vitale è il nostro naturale movimento energetico costituito dall’alternanza di momenti di espansione e contrazione.

Gli esempi che vi ho appena fatto servono per arrivare a un’altra importante scoperta di Reich: oltre a costituire una unità integrata, corpo e psiche hanno anche la stessa identica funzione: difenderci dal dolore, dalla paura, dalla frustrazione. E come ci difendiamo? Come abbiamo visto, a livello corporeo attraverso la contrazione muscolare che, se perdura nel tempo, diventa cronica e genera quella che Reich chiamava la “corazza muscolare”, che possiamo vedere nella nostra peculiare corporeità, nella postura, nella forma delle spalle, del torace, del collo, ecc., che ci conferiscono un determinato aspetto. A livello psichico, costruiamo quello che Reich chiamava “carattere” o armatura caratteriale, che è costituita sostanzialmente dai nostri atteggiamenti, comportamenti, modi tipici di pensare, agire, comunicare, relazionarci, ecc.

 

Purtroppo però, la conseguenza della corazza muscolare è che il legame tra psiche e corpo viene interrotto, le emozioni vengono “sganciate”, scollegate e separate dal corpo e perdiamo il senso della nostra unità (ciò è particolarmente evidenti negli attacchi di panico e nella derealizzazione). Vi sarà certamente capitato di sentire qualche amico che vi racconta la propria infanzia, magari difficile, senza nessuna emozione, con un tono piatto, asciutto, come se la cosa non gli appartenesse e stesse parlando della storia di un altro. Ecco, questo vostro amico, per difendersi, ha dovuto separare le sue emozioni dal suo corpo.

Separando le emozioni dal corpo si genera quindi una scissione tra queste due parti. (ad es. bambino con madre o padre violenti che ricorda gli episodi in cui veniva mettiamo picchiato, ma non riesce più a richiamare la paura e il dolore, ricorda senza emozione; queste emozioni sono state così intense che, per non essere sopraffatto, ha dovuto “anestetizzare” il corpo per non sentirle più, scollegando l’emozione dal corpo. Ma questa scissione si può ricomporre). Oltre a questo, se da un lato carattere e corazza ci difendono, allo stesso tempo ci impediscono di avere un sano sviluppo psico-affettivo, perché oltre alla paura e al dolore ci impediscono di sentire anche il piacere, la tenerezza, la gioia, l’amore e la nostra vitalità, rendendoci più rigidi. Un esempio lampante è la comunicazione all’interno di un rapporto.

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Quante volte ci lamentiamo che il nostro partner non è in grado di aprirsi o quante volte sentiamo di voler dire o esprimere qualcosa ma non troviamo il modo “giusto” di farlo? La capacità di entrare in contatto con le proprie fragilità e condividerle all’interno di un rapporto è una condizione indispensabile affinché esso raggiunga il livello di profondità di cui sentiamo di aver bisogno. I blocchi emotivi quindi, se da un lato ci proteggono dal dolore, dall’altro rischiano di allontanarci da chi amiamo e vogliamo aver accanto.

 

E ora torniamo alla domanda: perché si fanno i movimenti corporei? A cosa servono?

 

Reich sviluppa una serie di acting, cioè tecniche espressive, specifici movimenti corporei pensati per essere simili a comportamenti primari (come il movimento della suzione o il gesto del no) e per attivare determinate sensazioni ed emozioni. Lo scopo degli acting è di allentare le tensioni e ammorbidire la muscolatura per consentire alle emozioni e ai traumi “intrappolati” in essa (ricordiamoci sempre della contrazione che facciamo nella gola per fermare il pianto) di affiorare alla coscienza e di liberarsi, esprimendosi. Inoltre, favoriscono gli insight, cioè le intuizioni su se stessi e la consapevolezza delle proprie emozioni. Questi insight arrivano sotto forma di ricordo, anche molto antico, immagine o emozione e sono molto importanti perché costituiscono lo strumento con cui si ristabilisce la connessione tra la psiche e i corpo, sperimentando il senso di integrazione e unità precedentemente perduto.

 

Come si svolge una seduta con questo approccio?

 

Dopo un momento iniziale di verbalizzazione, la persona è invitata a sdraiarsi lettino e, seguendo le indicazioni dello psicologo, inizia la respirazione profonda, che ha l’obiettivo di staccare la mente dai pensieri ricorrenti e di aiutare la persona a entrare in un contatto corporeo (e quindi emozionale) più profondo. In questo spazio il ruolo del clinico è quello di portare la persona in contatto con i blocchi corporei e a seconda della tematica e tensione interna, verranno proposti degli esercizi di scioglimento del blocco. In seguito viene ritagliato del tempo per permettere la rielaborazione cognitiva di quanto avvenuto e per dare significato a ciò che è emerso durante l’esperienza.

NEUROPSICOSOMATICA

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​La NeuroPsicosomatica costituisce un approccio integrato all’intervento clinico, con un proprio sistema di conoscenze specificamente organizzato. Questo modello di intervento clinico affonda le proprie radici nell’alveo delle psicoterapie ad approccio corporeo. La Psicoterapia ad Orientamento Corporeo, o Psicoterapia Corporea, deve la sua prima formalizzazione a Wilhelm Reich, ritenuto il vero fondatore della moderna psicoterapia corporea. Egli introdusse la dimensione corporea nell’intervento terapeutico, intendendolo rivolto alla globalità della persona. Grazie alle scoperte neuroscientifiche, molti autori in differenti discipline ed approcci giungono ad affermare la necessità di comprendere il canale somatico negli interventi clinici, ma solo la psicoterapia corporea ha sviluppato, fin dal secolo scorso, un quadro teorico specifico, un repertorio di strumenti e tecniche

consolidati, ponendo come centrale l’unità somatopsichica umana. Benché la Psicosomatica oggi non sia individuabile come una disciplina omogenea, richiamare tale ambito raccoglie la preziosa testimonianza di una prospettiva che intende l’unità mente-corpo come inscindibile unità psicobiologica dell’individuo. Tale concetto viene sostenuto e integrato da numerose comprensioni delle neuroscienze e della PNEI degli ultimi decenni, da cui il prefisso Neuro. Inoltre il sistema nervoso presiede alla funzione comunicativa principale, alla interconnessione del sistema umano.

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